Ed è soltanto amando gli altri, ed essendo amati, che si impara ad amare se stessi.
Haruki Murakami
Amare se stessi,
aver cura di se stessi,
ricordarsi di vivere solo relazioni in cui ricevere amore e rispetto,
riconoscere quando una relazione è tossica,
sono principi cardine per vivere in serenità. È fondamentale parlare dell’importanza della cura e del rispetto per sé e per l’altro. Ma non possiamo dare per scontato che si tratti solo di buona volontà, di forza d’animo e di perseveranza; non possiamo parlarne come se fossero solo frutto di una scelta consapevole. In questi atti, così importanti per stare bene con noi stessi e con gli altri, si nascondono il nostro passato e meccanismi di funzionamento non consapevoli.
Il bambino che è stato, che tipo di relazioni ha vissuto? Qual è la qualità di amore che ha ricevuto? Quali vicende hanno segnato il suo percorso di crescita? Come è arrivato all’adulto di oggi?
La psicoterapia guarda al passato, in un’ottica trigenerazionale, perché è da lì che l’individuo ha iniziato a percepire se stesso e il mondo. Il bambino sperimenta se stesso all’interno della relazione di attaccamento con i propri caregiver e in quella relazione sviluppa la sicurezza in se stesso e nel mondo:
“un bambino molto amato crescerà facilmente non solo avendo fiducia nell’affetto dei suoi genitori, ma sarà anche fiducioso che pure tutti gli altri lo troveranno amabile. Viceversa un bambino che non è stato desiderato non solo non si sentirà voluto dai genitori, ma penserà anche di essere sostanzialmente poco desiderabile, cioè di essere non voluto da tutti.” (Bowlby, 1979; traduzione italiana 1982).
Le precoci esperienze di attaccamento sono interiorizzate in modelli cognitivi (Modelli Operativi Interni), che diventano una sorta di bussola che guida il bambino prima, e l’adulto poi, nel comportamento e nelle aspettative che ha di sé e degli altri: quindi non influenzano solo il comportamento ma anche il modo in cui il mondo viene visto e percepito.
Il bambino che fa esperienza di un caregiver sufficientemente buono, capace di sintonizzarsi con i suoi bisogni e disponibile alle richieste di aiuto, svilupperà un attaccamento sicuro: questo gli permetterà di costruire nel tempo un’immagine di sé come “degno di amore”, di sviluppare un buon senso di sicurezza interno ed esterno, di tollerare separazioni temporanee e di affrontare le difficoltà con una buona fiducia nelle proprie risorse. Al contrario il bambino che sperimenta un accudimento evitante, rifiutante e ostile, nel tempo probabilmente attiverà meccanismi difensivi legati alla negazione del proprio bisogno di cura e di affetto. Gli individui che invece hanno sperimentato un attaccamento ambivalente, percepiranno la realtà come imprevedibile, inaffidabile e pericolosa. Si sentiranno costantemente vulnerabili e bisognosi di aiuto. Nei casi più gravi l’attaccamento può avere le caratteristiche della disorganizzazione: i vissuti saranno catastrofici, di impotenza e sarà perenne un senso di allarme. Nelle situazioni più gravi sarà minata anche la costruzione di un’identità integra.
Se si percepisce minata la possibilità di amare noi stessi, di accoglierci amorevolmente con le nostre imperfezioni e i nostri limiti, di vivere relazioni buone e funzionali, è utile rivolgersi a uno psicoterapeuta per iniziare un percorso attraverso cui accogliere la sofferenza, accedendo al suo significato profondo e alle sue origini. La relazione con il terapeuta, attraverso l’accoglienza e il rispecchiamento di un ascolto empatico, diventa uno strumento per riattivare e costruire risorse interiori, attraverso un processo di stabilizzazione, rielaborazione e trasformazione della sofferenza.
Albasi C., 2006, Attaccamenti traumatici, Novara De Agostini Scuola Spa
Bowlby J., 1979, Costruzione e Rottura dei Legami Infantili, Raffello Cortina, Milano 1982